Sono passati più di tre lustri da quando, titubante, ho lasciato andare dalla mano il mio primo modello, tutto solo, da un pendio per una gara ufficiale di campionato italiano. Ora sono divenuto V. V.: Vecchia Volpe. Ci sono voluti anni per entrare a far parte del club delle Vecchie Volpi. E’ un élite molto ristretta, riservata solo ai soci del mio club, e solo a coloro che possono vantare un curriculum mooolto lungo. Ci vogliono almeno 50 gare di campionato italiano F1E, e 10 internazionali. Attualmente in attività vi sono pochi individui appartenenti alla famiglia delle Vecchie Volpi.
L’attività però è presa “sotto gamba”. Alle gare parto con il cassone chiuso dall’anno precedente, quindi mi ritrovo sul campo con rotture che ho scordato di riparare o simili amenità (che tali sono solo col senno di poi perché sul posto sono incazzature micidiali). Oppure non ricordo assolutamente se il modello derapava a destra o sinistra. Allora cala l’entusiasmo per la gara e cominciano i dubbi sull’opportunità di continuare una simile attività. Che aumentano in particolare dopo una gara molto deludente. Ma rimane il fortissimo richiamo della giornata “diversa”. Un lasso di tempo nel quale ogni pensiero e preoccupazione è accantonato, dimenticato. Al termine tutto ritorna alla mente ma con un’ottica diversa da prima; tutto è preso con filosofia, ricondotto entro margini di sopportazione che rende la vita più serena. E poi le esperienze di realtà diverse come quelle dell’estero con la vita di cittadine che altrimenti mai verrebbero viste, o di paesaggi naturali indescrivibili.
Si sa che la prima gara non si scorda mai, ma la cinquantesima mi è proprio passata sotto gli occhi senza che me ne rendessi conto. Solo a distanza di tempo mi accorgo che l’ho già disputata. Probabilmente senza infamia e senza lode. Anzi: sicuramente senza lode e con infamia, tanto che non ho il coraggio di fare un conto preciso per capire quando e dove si è svolta. Sarà forse stata quella gara in cui su cinque lanci ho centrato quattro alberi? Con seguito di scalate al limite dell’estremo. O forse quella dove non riuscivo più a risalire il pendio per la fatica e le gambe indurite già dal terzo lancio? O quella dove M. ha perduto un aereo all’ultimo lancio e abbiamo passato quattro ore nel bosco prima di trovarlo su un faggio di 50 metri che abbiamo chiodato e scalato il mattino seguente? Ma mi piace pensare che possa essere stata quella gara che si è conclusa in modo convulso fra acqua e sole con uno splendido arcobaleno incorniciato dalle montagne illuminate sullo sfondo. O quando la squadra di Rovereto era composta di dieci elementi scatenati e nelle trasferte si doveva temere il sacco nel letto ma si ottenevano risultati straordinari e tanto divertimento. Oppure quella dove cercavo disperatamente il modello ed un fanciullo slovacco di cinque anni o giù di lì, mi ha condotto sul posto e gli ho regalato una stecca di cioccolato rendendolo felice a correre gridando verso la mamma. Esperienze che ripagano una giornata di gara, nel bene e nel male
Come l’esperienza a Rana in Repubblica Ceka. Non era la prima gara all’estero, ma all’estero c’è sempre una certa emozione ad andarci. Avevamo preparatola la trasferta con cura, avvertendo con ben tre fax gli organizzatori. Eravamo in sei agguerritissimi concorrenti ed avevamo noleggiato un pulmino. Una capillare organizzazione fatta di una montagna di telefonate fra di noi, ci porta a partire con una puntualità svizzera, armati di cassoni, attrezzi, viveri e bevande. E’ estate, fa caldo anche in Europa centrale. Fino alla frontiera tedesca tutto fila perfettamente. Poi ci rendiamo conto che il furgone su cui viaggiamo frena solo con il fondo delle pastiglie. Ad ogni frenata si sente uno sfregolio sinistro di lamiere che stridono, e la macchina entra in vibrazione. Ma noi siamo dei coraggiosi e ci presentiamo alla frontiera Ceka con un’ora abbondante di anticipo sull’orario preventivato. Per accorgerci che M. è senza passaporto.
Iniziano le trattative con le arcigne guardie di frontiera ceke. Che naturalmente non cedono di un millimetro. “Zurik” ci dicono, che tradotto significa “a casa”. Ma gli italiani non mollano mai in questi casi. Così, visto che corrompere direttamente un militare è rischioso, ci siamo rivolti ad un funzionario dell’ufficio turismo, il quale ha cominciato a cercare al telefono l’organizzatore della gara. Scopriamo che l’organizzatore della gara ha cambiato numero di telefono e fax da mesi. Che significa che noi non siamo neppure iscritti alla gara. Quando finalmente lo rintracciamo sono passate sei ore e comincia a fare buio. Abbiamo sostato sotto il sole cocente del piazzale della dogana Ceka per un tempo interminabile, e garantisco che lo spettacolo dal punto di vista paesaggistico ambientale o culturale è sotto lo zero. Con la nostra organizzazione al completo sbando arriviamo a Louny dove gli organizzatori ci aspettano in strada da un’ora. La festa che ci riservano ci ripaga della sudata sull’asfalto patita.
Un collinone a forma di cono in mezzo ad una pianura. Tempo splendido, temperatura calda, visibilità ottima. Davanti a noi un aeroporto per turismo, con una serie di trainatori ed un numero enorme di alianti. Più a monte una gara di aeromodelli F3F, che in Italia non si vede più da anni. A fianco un’esercitazione di parapendio. Sopra una linea aerea traccia righe regolari nel cielo. E’ uno spettacolo di voli come non ne avevo mai visti, in una cornice paesistica splendida di pianura coltivata a perdita d’occhio con qualche piccola frazione abitata in lontananza. Sullo sfondo, sbiadita dalla distanza coi contorni tremolanti, una visione quasi surreale di una centrale nucleare con le grandi ciminiere fumanti.
Le gare incombono. Il mio modello si rifiuta di governare e rientra sul pendio dopo un minuto. Comincio un calvario. Fra il primo e secondo lancio provo e riprovo. Credo di aver trovato il motivo del non funzionamento e parto per il secondo lancio. Stessa sorte: governa per una trentina di secondi poi non più. E atterra su di un rovo di spini. Naturalmente l’unico nel raggio di 50 Km. Concludo la gara con un modello da vento medio in assenza di vento. Arrivo ultimo anche a squadre facendo alterare i miei compagni. Ma voglio vendicarmi il giorno dopo. Prima della nuova gara provo mille volte. Ma c’è più vento, e il modello da aria calma non ha più senso. Quando lancio il vento è di traverso e sono costretto ad una galoppata notevole. Finisco la gara senza pieni e con un grande errore solo al terzo lancio, ma sono ugualmente ultimo. Anche a squadre. Porto a casa quattro ultimi posti in due giorni di gare, una prestazione difficilmente eguagliabile. In compenso i miei compagni di squadra sono incazzati come api e giurano: “mai più insieme”.
All’estero non sono sempre rose e fiori. In Polonia a settembre si può trovare tranquillamente il termometro sottozero o fare la gara in maniche corte. Il problema è che se si deve presenziare immobili alla cerimonia di apertura, che all’est è sempre molto sentita, in giacca estiva e camicia con il termometro a -5, la situazione non è allegra. Così è capitato infatti, perciò il giorno seguente alla gara mi sono presentato con piumino, maglione, camicia di flanella, canottiera di lana, sciarpa e berretto. C’erano 20 gradi. Mi sono tolto tutto, ma alla fine della gara ho perso 2 chili. Ma nonostante tutto il ricordo è sempre bellissimo.
Ed è questo che caratterizza le gare in genere: il ricordo difficilmente è brutto. Anche quelle pochissime volte che si litiga con la giuria come è accaduto in Romania dove sono volati insulti pesantissimi fra i rumeni e le squadre tedesca e svizzera. Noi naturalmente, per l’anima latina che ci contraddistingue, abbiamo appoggiato i rumeni. I tedeschi sono i nostri “acerrimi amici”; infatti non è importante piazzarsi bene se non si sono superati i tedeschi. Eppure si fraternizza sempre molto soprattutto dopo le gare davanti ad un boccale di birra. Dopo aver concluso la gara comunque anche noi abbiamo dato le nostre rimostranze verso la giuria, senza che gli alemanni ci vedessero.
Domani è un altro giorno. Quante gare ancora mi aspettano? Ogni fine stagione richiudo il cassone pensando di appendere i modelli al classico chiodo. Ed iniziano i pensieri più profondi: ma le riproduzioni statiche non sarebbero un bel passatempo? Anche gli elicotteri in fondo, ci vuole allenamento ma possono partire ed atterrare a pochissima distanza. Neanche la fatica di posizionarli sulla pista e riprenderli in fondo alla stessa dopo l’atterraggio. E il navimodellismo? E l’automodellismo? E passare le domeniche con un bel libro?
Ma ecco che a dicembre inoltrato riemerge il ricordo di gare lontane. Giorni di gloria o giorni di fatica, momenti di felicità o pensieri disperati. Tutto contribuisce a ritornare come un automa verso il laboratorio e a consultare le riviste per controllare il calendario dell’anno a venire e rileggere le classifiche.
Sono pronto, e devo rifarmi!
fine
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